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capitolo xiii. 301


sua voce dal dì delle feste espose lo stato di salute della simpatica prima donna, e supplicò il rispettabile pubblico per lei, ed anche per se, affinchè egli si degnasse dispensarla dalla ripetizione.

No! .. da capo!... no!... replica!... scuse magre! — e qui un turbine di picchi e di urli da subissare il teatro: per giunta qualche fischio. Perchè mai pretende il gladiatore ferito sottrarsi alla morte? Gua’! Se l’agonia è il punto più divertente della rappresentanza! Il popolo per ora non se la sente di abbassare il pollice, e le vestali molto meno, che amore e ferocia quanto trovano più delicati gli stami a cui si appigliano, maggiormente divampano.

Non ci ha rimedio; bisogna cantare.

Eponina dal fondo della sua stanzuccia udì il rigido impero del popolo come una sentenza di morte; lo istinto di donna la spinse a guardarsi allo specchio e si vide pallida come uno spettro; sospettando mettere paura, tuffò il cotone nel belletto e si tinse fino agli occhi: così concia si avvia risoluta verso il palco scenico, — e ride.

Appena comparisce sulla scena, ecco scatenarsi un uragano vero di applausi; un diluvio di fiori; ella si accosta al proscenio, lì presso ai lumi, e si accinge a sciogliere la voce, ma lo tenta invano, una tanaglia le stringe la gola: raggrinza le dita dei piedi e delle mani, raccogliendo in supremo ed