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capitolo x. | 25 |
a mescere l’utile col dolce; ed io secondo le mie povere
forze mi sono industriato sempre di seguitare
questo precetto: però mi piacque stringere co’ miei
lettori quasi un patto dicendo: Io vi diletterò due
ore, e tre se volete, ma durante un’ora state a udire
le mie lamentazioni e le mie dottrine: che se vi duole
udirle, lasciatemi significarle, e voi non ci badate.
Ed anco penso: la nuova generazione, nella quale mi affido, ha smesso il convulso che travagliò la generazione antecedente; ella sospira i negletti studi; ella ricorda come i grandi capitani dell’antichità fossero discepoli di filosofi, e filosofi eglino stessi; grande si manifesta nella presente generazione l’ardore di meditare intorno la ragione delle cose: certo piace a me, ed alla patria giova, che ella mediti con le mani appoggiate al pomo della spada, — ma mediti.
Per le quali cose il retto giudizio delle digressioni
nei romanzi e nei poemi si riduce come ogni
altro nodo a questo pettine: se ti garbano e t’istruiscono,
e tu tienle care e fanne tuo pro, ovvero ti
riescono sazievoli, e tu, o butta via il libro, o meglio,
va’ dal libraio a farti restituire il prezzo pagato
per comprarlo, ch’io so di certo ch’ei te lo renderà
con gl’interessi.
Antichissimo, noto a tutti, e insopportabilmente avvantaggiato lo scopo della Francia: più che non