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capitolo viii. 285


a frugare nella vostra vita coi modi coi quali voi rovistate nell’altrui, gioco cavarci tanto da farvi impiccare per lo meno tre volte.

Ora venite qua, e ditemi: quando la Felicina per gli inviti del suo insidiatore, lasciò la casa paterna, era incinta, o no? Se incinta, perchè allontanarsi da un luogo dove avrebbe rinvenuto sussidi a celare meglio il suo fallo? Qui i testimoni pochi e interessati a nasconderlo; e per andar dove? In casa circondata da persone rigide, studiose a vigilarla, non facili a perdonare di questa maniera peccati: ad ogni modo repugnanti a sovvenirla per dissimulare la sua colpa: quindi cresciuti i pericoli, lo scandalo sicuro. No, prete, tu avesti Felicina pura e ce la rendi contaminata. Chi ci racconterà le arti infernali del seduttore, le lusinghe, le profanazioni, le minaccie, il terrore? Chi le violenze, o lo assopimento, o la ebbrezza? I serpenti conoscono le infinite guise con le quali i serpenti inviluppano la vittima nelle loro spire, non io. Perchè non la ricondusse al padre? Questo il debito suo. Egli mentisce quando narra del padre fulminato dallo annunzio della colpa della figlia: non fu, no, la notizia del fallo, bensì quella del suo preteso delitto che uccise il misero uomo.

Certo, non io scuserò la fanciulla, la quale non seppe resistere alle lusinghe dell’amore, ma non sono questi i peccati di cui inorridisca la natura, e