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L'interno della Terra 107 presumere che il calore centrale avrebbe continuato ad elevarsi per altrettanto tempo quanto fosse durata la caduta di materia sulla Terra, e vi avesse causato delle compressioni. Le parti meno centrali sarebbero altresì riscaldate, se meno calde, da consimili cause di compressioni, e sarebbero pure riscaldate dal calore condotto ad esse dal centro. Una considerazione matematica di questi due processi dimostra che la temperatura gradatamente diminuirebbe nelle parti più profonde della Terra e si eleverebbe in quelle più esterne. (Essa tuttavia non si eleverebbe nella crosta la più esterna, perchè questa è soggetta al raffreddamento esterno, derivante dall’irradiarsi del calore nello spazio). Tralasciando dal considerare questa crosta o superficie del globo la più esteriore, vi sarebbe stata una profondità di circa 800 miglia (1280 chil. circa) in cui la temperatura andava elevandosi. Al disotto di tali profondità la temperatura sarebbe andata scemando. Ma nella zona della temperatura elevantesi vi sarebbe una espansione di roccie dovuta al crescente calore. Al disotto di quella zona vi sarebbe un restringimento di roccie dovuta al calore decrescente. La zona superiore, di già forzata a conformarsi al nocciolo con- traentesi per raffreddamento, troverebbe il compito suo assai più difficile in causa della sua propria espansione. Vi sarebbe per conseguenza uno stato d’affari, che si potrebbe immaginare, in cui avesse luogo una continua nuova repartizione di calore, ed in cui delle roccie in fusione verrebbero continuamente cacciate all’insù a livelli più elevati. Per tal modo noi cominciamo ad immaginarci una Terra in cui la contrazione e la deformazione delle roccie non incomincia per necessità puramente verso la superficie, ma può trarre origine a livelli più profondi. Paragonando queste tre ipotesi dei primitivi stati