Pagina:Gozzi - Le fiabe. 1, 1884.djvu/81


prefazione. lxiii

sulle eroine del Chiari, basterebbe a far prova della potenza satirica e della burlesca originalità dell’ingegno del Gozzi. Il quale del resto col confuso e barocco disordine del suo stile e del suo linguaggio, talvolta così strambo, che bisogna intenderlo per discrezione, toglie troppo spesso ogni garbo e vaghezza e forza a ciò che scrive. Ma non si può negare che le sue salire maggiori, per invenzione, impostatura e congegno di composizione, sono singolarissime, e, se accoppiassero il pregio d’una forma viva e schietta, porrebbero giustamente il Gozzi non solo al di sopra dei maggiori satirici nostri, ma più specialmente accanto ai più celebri umoristi stranieri. Il Gozzi scrisse i primi dieci Canti della Marfisa, mentre fervevano ancora le sue lotte col Goldoni e col Chiari, e ne pubblicò molti saggi nei Fogli sopra alcune massime del Genio e Costumi del Secolo, operetta specialmente dedicata al Chiari ed al suo apostolo, Abate Placido Bordoni. Gli ultimi due canti scrisse molti anni dopo, quando cioè stampò il poema,1 che tenne parecchio tempo nascosto, perchè satireggiando, oltre al Goldoni ed al Chiari, i costumi e le opinioni del proprio tempo, temeva forse di capitar male. Ripiglia il tema dai poemi cavallereschi e «dovrebbe essere superfluo avvertire (scrive nelle Annotazioni pubblicate dal Magrini e dal Malamani)

  1. Carlo Gozzi. Opere. Ediz. 1772 colla falsa data di Firenze. Tom. VII. — Prefazione scritta tra il dubbio, che sia necessaria, e il dubbio, che sia inconcludente.