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prefazione. xxxiii

Nè s’è curato d’opporsi a’ lacciuoli
Dell’avversario dottore leggista.
Onde, oltre alla sua moglie, alla famiglia
Sua ch’è assai numerosa, ha in casa me,
Le sue sorelle, e in tutto è abbandonato
Dagli altri due che stimano vittoria
L’opprimere un fratello e se ne vantano:
A tale gli ha accecati la promessa
Dell’avvocato, chè da lor non sono
Già di mal cuore, anzi hanno buone viscere.
Però, signor Esopo, io son ricorsa
Alla vostra bontà. Fate per modo,
Che ritorni la pace in casa mia,
Sì ch’io possa vedere tra’ miei figli
Il primo amore e la carità prima.
Esopo — Sapete voi, che mova l’avvocato
A difender tal causa?
Vecchia —                               C’è chi dice
In varie forme. Chi dice ch’è mosso
A ciò far da una donna; e chi, ch’essendo
Già conosciuto per poco veridico
E per ciò abbandonato di clienti,
Faccia fascio d’ogni erba; e per mostrare
Qui in Cizica che ancor abbia faccende,
E’ si fa difensore d’ogni cosa
A dritto e a torto, e fa pianger le povere

Famiglie sventurate in questa forma.1

La mano di Gaspare in questi versi si sente, mi sembra, nè so davvero come qualcuno abbia potuto dubitarne.2 Una sola scusa ha il buon Ga-

  1. Gaspare Gozzi, Opere, Ediz. cit. vol. VII. Esopo in Città, Commedia, Atto III, Scena VI.
  2. Forse fu confusa con l’Esopo in Corte, di cui si dubita se la traduzione sia sua.
Masi. c