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prefazione. xxvii

poi sviò il colloquio e si mise a parlar di tutt’altro coll’amico, ospite di Carlo. Cominciò allora per Carlo una lunga iliade di guai. Volle tentare di salvar qualche cosa dal naufragio e si tirò addosso le ire degli usurai, le querimonie dei creditori, i piati dei forensi, le avversioni di tutte le donne di casa, quella della madre specialmente (sventura decisiva per l’indole d’ogni uomo), la quale spingeva la sua parzialità per Gaspare fino al segno di non poter tollerare, che altri osasse mettere in dubbio il genio finanziario dell’Irminda Partenide. Questa, non sapendo più qual’altra poetica sciocchezza commettere, dopo aver tentato di dare in pegno agli usurai la vecchia dimora dei Gozzi, indusse persino il buon Gaspare a farsi conduttore e impresario del teatro S. Angelo e di una compagnia comica. Fu l’ultimo crollo! Carlo, che con tutto il suo genio fiabesco badava al sodo, dopo aver pazientato lungo tempo, provocò la divisione della famiglia e che ognuno si pigliasse ciò che gli spettava.1 La qual famiglia però dovrà essersi martoriata fra tante angustie più per disordine, che per povertà vera, se il Conte Gaspare potè, siccome nota il Tommasèo, «dopo cinquant’anni di negligenza e di lapidazione lasciare al suo erede più che il necessario alla vita.2» Carlo scioltosi alquanto da tali brighe (libero del tutto non ne

  1. Memorie cit. Parte I, dal Cap. 15 al 32.
  2. Storia Civile nella Letteraria cit. Gaspare Gozzi, Venezia e l’Italia del suo tempo. XIV, pag. 238.