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atto quinto. 127

     Di recarti consiglio. Non sprezzarlo,
     Millo, benchè di donna.
     Mil. E qual consiglio?
     Arm. Sopra un naviglio a una medesma sorte
     Andiamo, o sposo, ed in Damasco andiamo.
     Ginocchion chiederemo al padre mio
     Perdon, pietà. Le lagrime d’Armilla
     Saran sì calde, che a Norando certo
     Ammolliranno il core. A pietà mosso
     Ricambierà le membra di quel misero
     Nello stato primier. Perdoneracci;
     Sposi ci soffrirà; vivremo in pace.
     Mil. Non mi parlar di pace, amata sposa.
     Con sì dolce linguaggio il cor mi spezzi
     In più barbara forma. Cara Armilla,
     Non c’è più pace. A me restar non deve
     Che disperazione, che furore,
     Che pianto e morte. Sappi, che Norando
     Or ora apparve in questo loco, e seco
     Favellai, nè ascoltommi. Inesorabile
     Contro al fratello, a me, contro a te stessa...
     Oh Dio! che disse mai!
     Arm.                                         Norando quì?
     Come?... Ah perchè non fui... Dimmi: rimedio
     Non chiedesti al fratel?
     Mil. (sospirando)                Lo chiesi, Armilla...
     Non bramar di saperlo.
     Arm. Deh lo narra;
     Io vo’ saperlo. Che ti disse il padre?
     Mil. Non bramar di saperlo.