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prefazione. cxxxix

del Gozzi si mostra sull’orizzonte, nel Corvo è già allo zenith della grand’arte Romantica, nella Turandot tramonta, ma non tanto per colpa sua quanto per quella degli avversari, ai quali egli ebbe la debolezza di sacrificare il soprannaturale, il meraviglioso magico delle prime sue Fiabe. Nel Gozzi, nonostante i suoi mancamenti, l’Horn vede adempiuto l’ideale della poesia Romantica, il quale è libertà assoluta, è l’eroismo che, sciolto da ogni vincolo di fatalità o di circostanze esteriori, rispecchia tranquillamente l’umanità. Il Romantico è l’equazione del dilettevole e del sublime che, scompagnati, smezzano l’impressione, da cui deve esser tocca tanto la sensualità, quanto la spiritualità dell’uomo. Così la luna splendente nel cielo sereno è bella, ma intorbidata da qualche nuvola, che le passi dinanzi, è romantica; così un gruppo di maestose rovine per sè solo è sublime, ma posto in mezzo ad un paesaggio ridente è romantico. Il medesimo dicasi del genio poetico del Gozzi. Nell’Horn, come si vede, la trasfigurazione romantica di Carlo Gozzi è compiuta.1 E dinanzi a tal sorta di miraggi estetici non sembra più esagerato ne il giudizio, più etnografico che letterario, del Goethe (che taluno pretende abbia imitato il Gozzi nel suo Trionfo

  1. F. Horn. Ueber Carlo Gozzi’s dramatische poesie, insonderheit über dessen Turandot und die Schillersche Bearbeitung dieses Schauspiels. Briefein. (Penig. 1803 bey F. Dienemann und Comp.)