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canto primo 27

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     Marco e Matteo dal pian di San Michele,
che della guerra un tempo eran vissuti,
avevan fatto parecchie querele
di quella pace, ch ’eran divenuti
poveri e al verde come le candele.
Ma finalmente anch’essi stavan muti,
e s’eran dati alla poetic’arte
per gxiadag^arsi il vitto in qualche parte.
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     Poiché a Parigi allora era l’andazzo
di commedie, di critiche e romanzi,
e il popol n’era ghiotto anzi pur pazzo,
perché fosser riforme a quelli dianzi.
Marco in su’ fogli venia pavonazzo,
Matteo del scrittoio fuor non creder stanzi;
u, sicché ogni mese uscian da’ torchi al varco
^ due tomi: un di Matteo, l’altro di Marco.
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     Ma potean ben su’ fogli intisichire,
a’ librai furbi alfin l’utile andava.
Pe’ manoscritti avevan poche lire,
ed il libraio il resto s’ingoiava.
.vean provato a lor spesa far ire
talor la stampa, e il capital mufifava,
perocché il libro senza de’ librai,
non so per qual malia, non vendean mai.
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     Donde lor convenia pregar que’ tristi
e dir: — Quel libro fatemi dar via. —
Color, ch ’eran peggior degli ateisti,
diceano: — In ciò vi farem cortesia. —
E avuti i libri: — Non c’è chi gli acquisti
— dicean: — quella è cattiva mercanzia; —
tal che Marco e Matteo con grande affanno
vedean pochi ducati in capo all’anno.