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canto duodecimo ed ultimo 289

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     Coir impressario il roman senatore
ebbe molte parole e molta pena
per liberar Morgante, che il signore
ha una scritta peggior d’una catena.
II conte è pien dell’antico furore;
colui non par che lo badasse appena,
e disse: — Piú non s’usano i bestiali;
cantan le carte e sonvi i tribunali. —
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     Dal suo procurator corre volando.
Ecco un messo togato viene ansante,
che intima una gran pena al conte Orlando
e nel casotto sequestra il gigante;
poi cita il senator, per non so quando,
a non so quale tribunal davante.
Quest’ordin, questo messo, queste carte
fecero smemorare il nostro Marte.
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     E cominciava gli occhi a stralunare,
dicendo: — O Dio del ciel, che cosa è questa!
può la giustizia un furbo spalleggiare?
qual è la triste azion, qual è l’onesta? —
E volea lo staggito via menare.
Morgante ride e crollava la testa,
dicendo: — Ecco per me, caro campione,
della galera la tribolazione. —
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     Molti tedeschi Orlando han consigliato
a non commetter criminal per certo,
perocché avrebbe in tutto rovinato
nel vero punto la question del merto.
— Voi avete avversario un avvocato
— dicean — ch’è ben inteso e molto esperto,
e saprá cor vantaggio in sui trapassi:
bisogna misurar l’ordine e i passi. —