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canto ottavo 195

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     Per sua maggior sventura il conte Gano,
suo direttore, a novant’anni giunto,
per il catarro è a letto, dalla mano
del medico sfidato, al duro punto,
né se gli può parlar, perché il piovano,
che con l’estrema unzion giá l’aveva unto
e gli accomanda l’anima, dicea
che andarlo a disturbar non si potea.
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     Berta piangente e mezza in sfinimento
dicea che certo ella gli andava dietro,
che si sentia nel cor presentimento,
che non potea soffrire il caso tetro;
e poi chiede al piovan se testamento
faceva il conte Gano, e di qual metro,
soggiungendo: — Kovano, io sono certa
che gli ricorderete la sua Berta. —
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     Il piovan rispondea: — State pur cheta,
ch’egli ha disposto con somma prudenza.
Un’anima di Dio, né piú discreta,
non ho trovata in altra mia assistenza.
Gran confession da dottor, da profeta!
gran sottile, illibata coscienza!
Ma giá sapete in quanta divozione
faceva ogni otto di la comunione. —
50
     Gano il suo testamento avea rogato,
e istituita una mansioneria
perpetua nel piovan che aveva a lato,
e in quello che in prò tempore faria.
Per ogni messa ordinava un ducato;
e inoltre un funeral commesso avia
di quarantotto torcie di gran peso,
incerto pel piovan di zelo acceso.