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le torri del silenzio 35

segue il cadavere; parenti più consanguinei, la madre, il padre, un fratello. La barella è deposta dinanzi alla porticina aperta; i seguaci sostano pochi secondi dinanzi al cadavere, forse per una preghiera di addio. Di fronte è il dastur, il sacerdote Parsi con due addetti. Non altri, non altro; nessun gemito, nessuna lacrima, nessun gesto tragico; forse anche nella religione dei Parsi, come in quella dei Bramini e dei Buddisti, è cancellato il senso che noi occidentali abbiamo dell’io, e la loro filosofia millenaria attenua lo strazio del distacco senza ritorno. La barella è scomparsa nella porticina, che si è chiusa silenziosa, le ombre candide ritornano a due a due, unite sempre dal lino funerario, si allontanano senza volgersi indietro, come il rito prescrive, dispaiono fra i tronchi dei palmizi.

Ma in alto, nell’aria, è il turbinio fitto, spaventoso delle ombre nere. Dalle profondità dell’azzurro si avvicinano, ingrandiscono, precipitano con la velocità della pietra che cade, i grifoni funerari; sull’azzurro del cielo, sul candore della torre, le ali fosche sembrano attratte e respinte