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Alcina 117

quando sentii che lo sconosciuto scendeva, mi si sedeva vicino. Guardai, a volto chino, dal basso in alto. E vidi i due piedi ignudi, minuscoli, perfetti nel coturno gemmato; poi il peplo ordinato con un ventaglio semichiuso, raccolto alle ginocchia, il peplo che fasciava con grazia attorta il busto perfetto, avvolgeva le spalle snelle, fasciava la nuca e il volto come in un soggolo, non lasciando libero che il profilo: il profilo di Eleanor.

Non balzai, non diedi grido. Cercai subito di convincermi che non sognavo: palpai il granito, mi morsi le labbra, per sentire il freddo ed il dolore. Non sognavo.

— Non sogni! Non sogni!

Eleanor parlava! Non so dire come fosse la sua voce; forse le sillabe delle sue parole e le note che venivano di lungi erano la stessa cosa. Ma parlava, eretta dinanzi a me che non trovavo la forza di balzare in piedi; e m’aveva tese le due mani, intrecciando le mie dita alle sue dita soavi. La sua persona era assoluta, poichè la parola bellezza è troppo umana per la rivelazione divina che mi stava dinanzi, per quell’anima fattasi carne in una forma imitata dalle statue immortali.

— Non sogni! Non sogni! Ho giurato. Sono venuta.