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Fin dal principio del Seicento tra le Forze famose di Vincenzo Braca salernitano vediamo quella de la Maestra e quella de lo Maestro de scola; una farsa intitolata le Maitre d’école fu attribuita, com’è noto, a Molière; un Arlecchino maestro di scuola recitò nel 1716 il Riccoboni a Parigi. Ma solo nelle prime scene il Palomba ci fa assistere alla commedia della scuola, poiché Drusilla, maestra d’amori e di finzioni, è poi la solita civetta che fa all’amore col giovinetto (Pistone) e intanto lusinga il vecchio (Fazio) per carpirgli la dote. Ella inoltre asseconda gli amori di Leonora con Ottavio e Flaminio a un tempo, finché l’ultimo, violento e geloso, vien respinto per il bel giovinetto forestiero. Nessuna meraviglia che da certe maestrine e maestri privati, di Napoli e di tutta Italia, all’ombra dell’ipocrisia si insegnasse piuttosto la corruzione che la scienza (v. il Padre di famiglia del Goldoni, voli. III). L’azione, specialmente nella parte seria degli amori di Leonora, è un viluppo balordo: più vivo Pistone, personaggio buffo che parla napoletano. Nell’edizione bolognese il dialetto ru voltato in lingua italiana, e vivacità e spirito dileguarono.

A Venezia non si cantò nel ’48 la Maestra del Cocchi, ma l’argomento invogliò probabilmente il maestro Ciampi a musicare di nuovo quel libretto. Giunto in patria il Goldoni, come vedemmo, sulla fine dell’estate, per dedicarsi alla creazione della commedia vagheggiata da tanti anni, qualcuno lo pregò di riformare il libretto del Palomba per il teatro di S. Moisè; e in due o tre giorni l’avvocato veneziano, che stava pensando alla Putta onorata, ne cavò la Scuola moderna o sia la Maestra di buon gusto. Forse voleva “mutar tutta l’opera”, come dice l’avviso all’amico lettore, ma non essendo bastato il tempo, rimasero qua e là taluni residui del libretto napoletano, o piuttosto dell’edizione bolognese di cui si valse il Goldoni. Tolta però la prima scena, il testo è tutto cambiato. Leonora coltiva ancora un amoruccio che Drusilla favorisce, ma Flaminio e Ottavio sono spariti. Il Goldoni vi ha sostituito tre nuovi personaggi che formano un episodio insipido, a dir vero, il quale nulla ha da che fare col resto, cioè con la Scuola moderna: la vedova Doralba, non più giovane, tuttavia vogliosa di marito, tiranneggia la nipote Rosmira, e cerca invano di strapparle l’innamorato Ergasto, finché non si adatta a sposare il vecchio Belfiore (già Fazio), che ha scoperto gli inganni di Drusilla. Il personaggio comico di Lindoro, il quale corrisponde al Pistone del Palomba, non riacquista il carattere suo vivace, nè si rialza al di sopra del libretto bolognese. Solo in Drusilla e in Belfiore, cioè nell’eterna Mirandolina e nel vecchio ringalluzzito, il Goldoni seppe spirare qualche soffio di vita comica, specialmente nelle scene 3 e 4 del I atto, che non si leggono senza piacere. Tutto il resto è insoffribile: vero pasticcio per musica, lontano dal regno della poesia e dell’arte. Invano tenta ancora di sedurci qualche arietta di cadenza metastasiana, rifatta abilmente dall’improvvisatore veneziano:”Se lagrimar mi vedi, - Pianto sarà d’amore ecc. " (atto II, sc. 8). 44 Ma pur se volete, - Begli occhi, che mora, - Chi fido v’adora, - Morire saprà ". (atto III, sc. 3).

Il libretto stampato a Venezia non ci dà il nome nè del poeta, nè del compositore della musica. Gli editori e continuatori veneziani della Drammaturgia di L. Allacci (Venezia, 1755) scrivono: "Poesia d’Incerto Autore, ma riformata dal Dottor C. Goldoni", musica "di Diversi".