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NOTA STORICA

Il dispetto per la truffa patita, forse nel 1743, per colpa di un autentico o falso ingaggiatore raguseo smalti il nostro autore assai anni dopo goldonianamente — in un’allegra commedia, L’Impostore; nè il malinconico episodio, che gli costò fior di quattrini, scemò in nulla la simpatia ch’ebbe sempre calda per la nazione “tutta cuore” — come scrive Gaspare Gozzi — di quegli uomini “veramente maschi che costumano universalmente su quella riva, alla quale hanno dato il cognome” (Gazzetta Veneta, 18 giugno 1760). A tener viva tale simpatia sarebbe bastata la fida e salda amicizia che lo strinse — a Venezia e da Venezia lontano, sino alla più tarda vecchiaia, perchè ne ritroviamo il nome tra i sottoscrittori delle Memorie — a Stefano Sciugliaga di Ragusa, prima direttore della stamperia Baglioni a Venezia, e dal 1773 segretario sopraintendente alla censura dei libri a Milano. Il quale nell’ardore delle polemiche, suscitate dalla riforma, scrisse in verso e in prosa a difesa del commediografo, e a lui, esule a Parigi, fu mediatore disinteresssato e prezioso presso Francesco Vendramin, proprietario del Teatro San Luca. Forse col pensiero rivolto all’amico, il Goldoni nella Calamita dei cuori, libretto per musica, fa dall’eroina Bellarosa una “vezzosa ragusea” fiera della sua città.

Ma testimonianza più efficace dell’interesse suo per i dalmati resta questa sua tragicommedia La Dalmatina — recitata nell’autunno del 1758, che gli sarebbe stata ispirata — dicono le Memorie — da un dramma della Du Boccage, letto probabilmente dal Goldoni nella buona traduzione di Luisa Bergalli Gozzi (1756, Venezia, Bassaglia, col testo originale a fronte).

In questo la scrittrice francese, che deve più al fascino personale che alle sue opere molta parte della sua notorietà anche tra noi, rinnova a suo modo l’antica saga, trattata più tardi con ben altra forza e spirito dal Kleist. Orizia, regina delle Amazzoni e sacerdotessa di Marte, presa d’amore per Teseo, il nemico vinto e fatto prigioniero in battaglia, vorrebbe sottrarlo al sacrifizio, a cui lo condanna la legge del loro regno. Teseo, che s’invaghisce a sua volta e n’è riamato di Antiope, principessa ereditaria del trono, riesce con l’aiuto de’ suoi a liberarsi, e di sorpresa si rende padrone di Temiscira, la città delle Amazzoni; ma, generoso, non le assoggetta. Unico, ambito frutto della sua vittoria è Antiope, che lo segue in Grecia, mentre Orizia, disperata, si uccide.

“J’imaginai une pièce à peu près du même genre” scrive il Goldoni. Ma non è agevole scorgere vera affinità con la favola goldoniana, dove una ragazza dalmata, Zandira, mentre, accompagnata dal padre suo, sta per raggiungere il capitano Radovich, suo sposo, ch’ella ancora non conosce, vien presa e portata a Tetuan dai corsari, il capo dei quali la vuole nel suo serraglio. Ma essa s’è innamorata d’un suo compagno di cattività, il greco Lisauro,