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52 ATTO TERZO
Voi mi vedeste in mare andar senza spavento,

Non mi vedeste a piangere nel marzial cimento.
Schiava dei rei nemici gemere non fui scorta,
Vado coll’alma forte dove il destin mi porta.
Temo l’amante oppresso da morte o da catene,
E per lui coraggiosa vo’ incontro a mille pene.
Ma nel trovarlo infido, veggendomi tradita,
Il mio valor vien meno, la mia virtù è smarrita.
Cosimina. Per me vi parlo schietto, una sventura tale,
Un accidente simile, sarebbe il minor male.
Di che mai vi dolete? D’aver perduto un cuore?
D’aver trovato un uomo infido e traditore?
Questi, signora mia, sono i soliti frutti
Che rendono alle donne gli amanti quasi tutti.
Sembrano i primi giorni languenti, spasimanti 1:
Giurano di morire pria ch’essere incostanti.
E credo non tradiscano 2, quando da lor si giura:
Ma cambiano col tempo per uso e per natura.
Dicono a chi li sente, che noi facciam lo stesso,
E non dicono male, lo vedo e lo confesso.
Onde convien concludere, che siam d’un’egual pasta,
Che la passione in tutte alla ragion contrasta;
Che non è meraviglia, se alcun manca di fede,
Cosa che tutto il giorno in pratica si vede.
E se l’aver compagni nell’afflizion consola,
Consolatevi adunque di non penar voi sola.
Argenide. Ma lo vedessi almeno, almeno all’infedele
Titolo dar giungessi d’ingrato e di crudele.
Parmi che meno afflitta sarei, se gli potessi
Rimproverar le colpe, rimproverar gli eccessi.
Cosimina. Volentieri, per dirla, anch’io lo rivedrei,
E anch’io per amor vostro con lui mi sfogherei.
A qualcun di costoro volea raccomandarmi:

  1. Ed. Pitteri: spansimanti.
  2. Ed. Pitteri: tradischino.