Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1927, XXV.djvu/452

448 ATTO SECONDO
Dadian. (Ah! freno a stento l’irritato sdegno

Contro il superbo, e simular mi è forza).
Di’, vedesti la schiava?
Abchar.   Sì, la vidi,
E di tanto rigor mi sembra indegna.
Dadian. Sei tu spinto a impetrar per lei pietade
Da zel di gloria, o da imprudente amore?
Abchar. Gloria mi sprona, ed è alla gloria unita
La pietà e la giustizia.
Dadian.   Or via, vo’ darti
Segno novel della mia stima. Accordo
Che a te spetti la schiava.
Abchar.   Il tuo bel core
Mei faceva sperar. (Timor lo move).
Dadian. Ma non devi con tal pietà sospetta
Onta fare alla sposa e mia germana.
Abchar. So il mio dover.
Dadian.   Non secondar soverchio
L’ambiziosa nemica. Usa con essa
Titolo di signor, non quel d’amico.
Sia contenta del cambio; a lei sol basti
Passar dal seno d’un vil schiavo a quello
Di un illustre Visir; ma soffra almeno
Di catena servil lo scorno e il peso.
Abchar. In ciò pago sarai.
Dadian.   Le sparse voci
Tenta di rilevar. Cadano oppressi
O dal ferro o dal foco; e più non resti
Orma di lor, nè più memoria al mondo.
Vanne, e della tua fè novelle prove
Dammi, e del tuo valor; poi chiedi e spera.
Abchar. Ubbidito sarai. Portar le stragi
Saprò nel sen di chi insultarti ardisce;
Chi t’offende, morrà. (Ma in van tu speri
Che l’innocente Bacherat perisca). (parte