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ENEA NEL LAZIO 327
Che tu innalzi alle stelle, e ch’altri forse

D’ingegnoso mister dariagli il nome.
Sembra a te che il coprir di lieto ammanto
Il timore o il livor, senza disegno
Di vendetta o d’insulti, a render basti
Perfido un core e d’ogni stima indegno?
E che donna regal che la sua pace
Simulando procacci, in faccia al mondo
Delinquente apparisca, e sposo e regno
Perda, e fama e decoro, e soffra quanto1
Soffrir dovrebbe una tiranna, un’empia?
Esaminiam della mia colpa il fonte.
Gelosia mi sedusse; e qual più forte
Prova di vero amor può darsi in sposa,
Oltre un vivo timor? Mancava forse
Fondamento al sospetto? In faccia mia
Non vantossi di te Selene amante?
Africa non ti vide a lei vicino?
Non ti segue nel Lazio, e non ti chiama
Perfido, mancator? Dovea soffrirla
Senz’amaro dolor? Lasciar doveva
Che innanzi a me ti ridicesse ingrato?
Poco amor, poca stima, e scarso zelo
Mostrato avrei per lo novel mio sposo.
Dirai: dovevi palesar la tema,
Sfogar lo sdegno, e minacciar ardita.
Piacerebbeti, Enea, sposa superba
Che sapesse insultar? Di’: quella pace
Che tu venisti a rintracciar nel Lazio,
Spereresti2 da un cuor sdegnoso e fiero?
Scelsi fra dubbi miei la via men dura
Per te, per me, per la straniera istessa.
Vincerla procurai. L’affetto in uso
Posi pria che il rigore; e se giungesti

  1. Nel testo: quante.
  2. Nel testo: speraresti.