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272 ATTO PRIMO
Lavinia.   Deh! lascia, o padre,

Che un’altra voce degli Dei discopra
All’incredulo Turno. Al cuore io stessa
In tali note favellar m’intesi:
Guardati da colui che amor non desta
Nel tuo tenero sen, ma sdegno e pena.
Misera te, se in sacrifizio al vile
Interesse o al timor stendi la mano!
Non l’approvano i Numi, e il genio avverso
Che per lui nutri, di minaccia è un segno.
Turno. Eh! di’ piuttosto che in volubii donna
Amor di novità desta il consiglio.
Di’ che il nome Troiano, all’Asia un tempo
E alla Grecia terror, ti sembra ancora
Ad appagar l’ambizion bastante.
Ma quei che or miri dell’Europa ai liti,
Sono miseri avanzi e vergognosi
Di una patria incendiata, e di un impero
Dalla vindice man de’ Dei distrutto.
Quel che Venere vanta aver per madre,
Profugo sulla terra, è forse il solo
Che trovò nella fuga agevol scampo
E errando va per mendicare asilo.
Qui d’averlo non speri, e s’ei ritrova
Tanta viltà nel re Latin che vaglia
A’ suoi pirati ad accordare il tetto,
Turno avrà per nemico, e Turno basta
L’onor, le terre a vendicar del Lazio.
Ascanio. Non ti scuoti, signor? (ad Enea
Enea.   Turno, abbastanza
Ti soffersi finor. Misura i detti;
E se al voler degli alti Dei non credi,
Credi al poter di chi tremar può farti.
I miei guerrier, che sì vilmente insulti,
Mal conosci, e mal parli, e del mio nome