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temisia deriva manifestamente dalla Merope del Maffei e il figlio sconosciuto accide anche qui il tiranno (Farnabaze) che aspira, per ambizione di regno, alla mano della regina. In Euriso o Nicandro si ritrova forse qualche lontana reminiscenza del Giustino dello stesso Goldoni (vol. XXIV della presente edizione). Certo dell’ombra di Nino nella Semiramide si rammentò il Goldoni quando Euriso penetra nella tomba di Mausolo e n’esce spaventato (atto III, sc. 10), ma più evidente è il ricordo negli Amori d’Alessandro (vedi scena ultima). Si noti poi che qui pure, come nella Merope, benchè più goffamente, la madre corre il pericolo di uccidere per un fatale errore il proprio figliuolo.

Ma della Merope e della Semiramide manca in questo triste aborto l’arte, la poesia, la vita, tutto: mancano azione, dialoghi e personaggi. Vent’anni e più dopo la Rosmonda e l’Enrico, il Goldoni tentava di nuovo la tragedia pura, benchè di lieto fine. e rimaneva malamente sconfitto nella inutile prova. E strano ch’egli non si accorgesse della propria goffaggine e non ridesse almeno fra sè quando la regina di Caria, armata di stile, penetra nel mausoleo per liberare il mondo da Farnabaze e immerge per tre volte " con viril mano avidamente il ferro" in un cadavere (atto V. sc. 9). Pare impossibile che il "pittore della natura", come lo chiamò Voltaire, scendesse a così assurde inverosimiglianze e a un linguaggio così artefatto. Quale fosse la sorte dell’Artemisia, come vedemmo, rimane oscuro. Se il revisore Agazzi, come il Goldoni temeva, avesse proibito le recite, avrebbe soltanto impedito un’offesa alle leggi della poesia; chè d’altre audacie non rimane più la traccia. Il vecchio autore mandò da Parigi a Venezia con altri suoi manoscritti l’Artemisia e il tipografo Zatta, recidendo forse qualche passo pericoloso, la stampò nel 1793 nel tomo XXXIII (t. X della classe 3) della grande edizione delle Opere Teatrali del Goldoni, pochi mesi dopo la morte del commediografo veneziano.

Il 30 gennaio del 1803 la compagnia Fabrichesi e Gnocola recitava nel teatro di San Luca a Venezia l’Artemisia (v. Giornale dei teatri di Venezia, A. VII, n. 4. parte 1. pag. 17): proprio quella, crediamo, del Goldoni; ma non pare che quel misero fantoccio osasse risalire mai più sulle pubbliche scene.

G. O.