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250 ATTO QUINTO

SCENA ULTIMA.

Eumene, Pisistrato e detti.

Eumene. Un fausto grido al mio venire è scorta,

E del germano al fortunato erede
Rinunziar debbo la corona e il scettro.
Artemisia. No, il figlio mio non è sì crudo, Eumene,
Nè alla cara sua madre in dì sì lieto
Saprà grazia negar. Nicandro, io stessa
Disperando tua vita, alla più degna
Principessa di Caria adorno ho il crine.
Non isdegnar di secondar miei voti,
Seco lei dividendo il trono e il letto.
Euriso Chi più di te del mio voler dispone?
Eumene. Soffrilo in pace. (a Pisistrato
Pisistrato.   Il mio monarca adoro.
Artemisia. Oh lieto regno! Oh popoli felici!
Mi esce dal cor per tenerezza il pianto.
Ma no, questo si serbi al caro sposo.
Più non mi chiede che divida il duolo
Col genitor l’immagine del figlio.
Viva e regni Nicandro, e a me conceda
Sparger dagli occhi su quell’urna il sangue.
Euriso Ti consola, o regina; il padre istesso
Gode per noi nei fortunati Elisi,
O si duol forse, s’è di duol capace,
Di quel timor che lo fe’ crudo al figlio.
Artemisia. Scusa la crudeltà di un padre amante,
E all’innocente suo timor perdona.
Talora il Cielo ver le menti addrizza
Raggio rischiarator, ma folte nubi
Circondan l’uom di passìon proterve,
Che cieco il fanno, e che rapito il portano
De’ labirinti lor nel cupo centro.


Fine della Tragedia.