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ENRICO 539
Pompe di Corte il vostro spirto è inquieto.

Ormondo seco guideravvi al vago
Paese suo, dove natura ed arte
Miransi unite in delizioso nodo.
Matilde. Son disposta a seguir il mio destino.
Leonzio. O saggia, o amabil figlia, o cara speme
Del paterno cor mio!1 Fra mezzo a tanti
Importuni timori, e franco e lieto
Voi mi rendete, e di mia gloria certo.
Ite felice, ed attendete in breve,
Che staccato dall’empia iniqua Corte,
Con voi ne vegna a terminar miei giorni.
(parte per la porta comune

SCENA V.

Matilde, poi Enrico con guardie dall’appartamento reale.

Matilde. Misera! a quale stato io son ridotta?

Per salvar la mia fama affettar deggio
Un amor che abbonisco, e del dolore
Non palesar i mordimenti atroci2.
Consueto conforto a un core afflitto
Sono i pianti e i sospiri, ed io non posso
Piangere e sospirar. Morir io deggio
Senza mostrarne di dolore un segno?
Crudelissimo amor, non ti bastava
Togliermi il caro ben? Volesti ancora
Che all’ira tua sagrifìcassi il core?
Ma non vadan più oltre i tuoi disegni.
Far misera mi puoi, ma non già vile,
Nè ti pensar ch’io di soffrir mi penta
Con eroica costanza il mio destino.
Stelle! Enrico? Ah si fugga. Olà, soldati,
(le guardie occupano tutti i passi

  1. Bett.: amor mio.
  2. Bett.: Celar nel sen le dimostranze amare.