Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1926, XXIII.djvu/219


LA GRISELDA 217
A lieta caccia il Re Gualtiero, il Re

Marito di mia figlia (eppur mi rende
Non poca vanità sì gran parente!).
Potoria darsi, che seco ancor venisse
La figlia mia: cara Griselda, oh quanto
Volentier ti trarrei le braccia al collo;
Muoio di volontà di darti ancora
Un abbraccio paterno.
Griselda.   Eccoti, o padre,
La tua figlia Griselda; or a tua voglia
Abbracciarla potrai.
Artrando.   Numi, che veggo!
È una larva cotesta, o pur Griselda?
Griselda. Non conosci il tuo sangue? Il cuor dovrebbe
Farti fede per me.
Artrando.   Mi balza in seno
Con strano moto il cor; ma spesso inganna,
Se il desio prevenuto ha il core istesso.
Griselda. No, non t’inganni, o genitor: io sono
La tua figlia diletta.
Artrando.   E come... e quando...
L’abito... Perchè il crine... Io mi confondo.
Mille cose vorrei chiederti a un tratto,
Nè so quale di lor chiederti in prima.
Griselda. Tutto ti narrerò; ma ben tem’io,
Che sarotti cagion d’acerbo pianto.
Artrando. Cagion di pianto a me? Quanto t’inganni!
Io non so che sia pianto, e non trarrei
Se cadesse sossopra il mondo tutto,
Una stilla d’umor dagli occhi miei.
Sai se amava Nicea, la mia fedele
Onesta moglie, e tua diletta madre.
Pur, quando morse, io non versai pel duolo
Una lagrima sola: ed a che giova
Il lagrimar? Vera follia. Su narra