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142 ATTO QUARTO
Crear co’ numi, avvicinarsi almeno

Al lor poter nel far felice altrui.
Ma qual maggior felicità d’un padre
Che l’immagine sua miri ne’ figli
E di viver in essi invan non speri
Anche dopo di vita il giorno estremo?
Empia, cruda fortuna! Ah mi privasti
D’ogni ben, d’ogni speme; indi aggiungesti,
Alle perdite mie non preveduto
Il tormento maggior. Rosmonda infida,
Termina di punirmi. Ah figlia ingrata,
I tradimenti tuoi, le tue menzogne
Mi penetran nel cor. Serbar la vita
Al nemico Germondo il giorno istesso
Che giuri a me di procurar sua morte?
Oh! tradita natura... Ahimè, che osservo!
Qui la sleal? Vien ella forse armata
D’altri esecrati inganni? O vien l’audace
Fiera ministra al genitor di morte?
Occhi miei, non mirate il truce aspetto.
Tu resisti, mio core, all’empie voci.
Rosmonda. (Ahimè, che fiero sguardo! Ahimè! qual lampo
D’improvviso terror gettommi in faccia?
Mi scoprì, non mi parla). (da sè
Alerico.   (Il suo rimorso
L’avvilisce, l’arresta. Ah che nel volto
Scritta è la colpa sua). (mirandola sott’occhio
Rosmonda.   Padre...
Alerico.   T’accheta,
Questo nome sì sacro, alma spietata,
Non pronunziar mai più.
Rosmonda.   Che mai ti fece,
Stelle! la figlia tua?
Alerico.   Barbara figlia!
Rosmonda. Barbara a me? Ma in che t’offesi? Io chiamo