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“i gondolieri ch’erano nel parterre, la caricavan d’ingiurie” come racconta sorridendo il Goldoni. (La signora Marchini-Capasso, I. c., pp. 51-52, la quale scoperse nell’intreccio del Belisario “l’impronta del lavoratore geniale”, e non avvertì stravaganze e puerilità, ammira la carità che emana dalla conclusione dalla favola, “il perdonare tutto ad ogni costo, anche ai nostri nemici”).

Un intelligente scrittore americano, H. C. Chatfield-Taylor, si domandò di recente come mai un artista così fedele al vero, come il Goldoni, potesse scrivere un’opera tanto falsa (“Non immagini che abbelliscano i suoi noiosi versi; non filosofia, non verità”: Goldoni - A biography, New York, 1913, p. 135). Ma l’avvocativo veneziano vedeva nel 1734 i personaggi della storia quasi con l’occhio stesso dei suoi gondolieri. Giustamente anche il Bonfanti osserva: “In lui già si mostra l’incapacità di alzarsi sul reale, la tendenza al presente e al sensibile. Non ha dottrina per risalire al passato, non ha fantasia per rendere nella loro idealità i personaggi della tragedia” (l. c., pag. 40. Anche a Mario Penna “i caratteri del Belisario” sembrano “assurdi, non solo per le molte incongruenze che tradiscono la mano dell’autore ancora inesperto, ma altresì per l’ingenuo eccesso di certi aspetti loro”: l. c., pag. 25). A ogni artista la sua parte. Il mondo è troppo grande perchè un artista possa abbracciarne più di un minuscolo frammento.

Del resto il Belisario, benchè applaudito anche a Padova e a Udine nella primavera e nell’estate del ’35, e poi di nuovo nell’autunno a Venezia (vol. I, pp. 112, 113, 116), sparì ben presto dal teatro, nè più vi fece ritorno (parrebbe, dai Mémoires, P. 1, ch. XLVI, che per qualcuno nel 1743 il Goldoni fosse ancora “l’auteur de Bélisaire”). Forse le avventure toccate al noioso romanzo di Marmontel (Bélisaire: v. Grimm, Correspondance, anno 1767), che qualcuno paragonò alle ventisei disgrazie d’Arlecchino, spinsero nel 1769 prima il Moissy e poi il D’Uzincourt a stendere l’uno una commedia eroica in versi e l’altro un dramma dello stesso titolo, ma per fortuna non furono mai rappresentati (oltre Grimm cit., vedi Gaiffe, Le drame en France au XVIII siècle, Paris, 1910, p. 173 e indice). Nel 1836 Tommaseo Locatelli nelle appendici della Gazzetta di Venezia (5 febbr.) lodava il Belisario di Salvatore Cammerano (musicato da Donizetti), ma l’autore nulla doveva al Goldoni.

Una cattiva copia, divenuta presto introvabile, si stampò a Bologna nel 1738, alla macchia, non senza sdegno dell’autore (v. lett. ad Ant. Bettinelli che precede alla Donna di garbo nel 1.° t. dell’ed. venez. 1750 e le cit. memorie nel vol I. della presente ed., p. 105). L’esemplare che noi leggiamo uscì soltanto nel 1793, l’anno in cui morì Goldoni, nel tomo 32 della grande edizione Zatta.

G. O.