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Conte. Ma, signora mia...

Araminta. I vostri antichi hanno accumulato, e voi distruggete.

Conte. Distruggo?... Io? Voi siete in errore. Voi non mi conoscete.

Araminta. Sì, sì, vi conosco. Scommetto che, senza avere alcuna cognizion di diamanti, e senza consigliarvi con chi potrebbe istruirvi, voi sarete solennemente gabbato dal giojelliere.

Conte. Oh! circa a que’ diamanti...

Araminta, Oh! circa a que’ diamanti... So quel che volete dirmi. Sono destinati per l’ornamento della contessa di Casteldoro. E che cos’è la signora contessa di Casteldoro? Mia figlia, signore, è stata allevata bene, comodamente, ma modestamente. Noi abbiamo sempre accordato tutto, e con abbondanza, alla convenienza, alla decenza, e niente al fasto, niente alla vanità. L’ornamento di mia figlia è sempre stata la modestia, l’obbedienza, il rispetto, e son certa ch’ella non si scorderà mai l’educazione ch’io ho procurato di darle.

Conte. (Un poco alterato) Ma, signora...

Araminta. (Con calore) Ma padron mio.... (raddolcendosi1 un poco) vi domando scusa. Mi riscaldo un poco troppo, può essere, ma vi vedo ingolfato in un eccesso di spese che mi fan tremare. Si tratta di mia figlia: le do centomila scudi di dote.

Conte. (D’un tuono un poco alto) Non ho io bastanti fondi per assicurarla?

Araminta. Sì, sì, de’ fondi. I fondi si mangiano. Voi principalmente, che avete la vanità di essere grande, magnifico, generoso.

Conte. Ma vi replico, madama, voi non mi conoscete.

Araminta. Eh! se voi foste differente da quel che siete, aveva un’idea di proporvi il più bel progetto del mondo. Grazie al cielo, ho venticinque mila2lire di rendita per me sola. Mi sarei accomodata con voi: avrei vissuto con mia figliuola, e avremmo fatto di due famiglie una sola famiglia: ma con un uomo come voi, il ciel me ne guardi!

  1. Testo: raddolcindosi.
  2. Testo: mile