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Lolive. Monsieur, je travaillais au jardin; au premier coup de marteau j’al couru si vite que je suis tombe en chemin.

M. Grichard. Je voudrais que tu te fusses rompu le cou, double chien...

Nessuna affinità nelle due favole. Meno ancora di Grichard ricorda il nostro Burbero quel Freepor dell’Écossaise del Voltaire che il Palissot {Mémoires, 1803, I, p. 370), il Lintilhac (Revue des cours et conférences, 1897, 1898, p. 713) e il Bertoni {Modena a Goldoni, 1907, p. 412) vorrebbero babbo di Geronte. All’affinità delle due figure aveva accennato, è vero, il Goldoni stesso nella lettera al Voltaire citata, ma era un modo di accarezzarne la vanità, ne gli diceva d’averne preso nulla. Punto irascibile questo Freeport, solo un po’ ruvido specie con le donne, e pur maledettamente curioso dei fatti loro, chiacchierone, generoso sino ad aprir la borsa al primo venuto. Ma che cos'ha da fare tutto questo con Geronte? Men che mai poteva aver "preannunziato" Geronte (P. Costa, Commedie di G. Giraud, prefazione, pag. 41) quel Vecchio bizzarro col quale non ha la più lontana somiglianza! Una tradizione, raccolta la prima volta, pare, dall’attore Fleury (Mémoires, Bruxelles, 1835, voi. II, pp. 198, 202, 208), poi da altri, vuole modello a Geronte il celebre Carlin [Carlo Bertinazzi del Théatre italien], noto così per l’ottimo cuore, tanto che avrebbe dato al Florian l’idea del suo Bon père, quanto per l’impetuosissimo temperamento. Anche Valentino Carrera negli Ultimi giorni di Carlo Goldoni fa dire al poeta (atto II, scena IV): "Carlino, quello che m’inspirò il Burbero " Sarà vero? Nell’elogio che il Goldoni fa dell’attore e dell’uomo non v’è accenno a peculiarità del suo temperamento che lo mettano nella schiera dei rusteghi (Mém. P. III, c. III).

Anche per confessione dell’autore il germe del Burbero è nella Casa nova (Mém., P. II, cap. 41). Meno in un parallelismo di caratteri che nella favola: la rovina d’una giovine coppia, causata dalla leggerezza della donna e dalla supina acquiescenza del marito - a cui dopo improvvisi ravvedimenti e perdoni implorati pone riparo la bontà d’uno zio. Ma Cristoforo che appare solo nelle ultime scene - per risolvere il nodo — non è collerico per niente, solo bonariamente ruvido. Tale lo fanno la modesta sua origine e il giusto risentimento che l’anima. Né Cecilia con la rovinosa sua vanità e completo disamore ai congiunti si può paragonare alla Dalancour sinceramente pronta ad affrontare "dure prove" appena scorge il male inconsciamente fatto (Dejob, Les femmes dans la comédié, ecc. Paris, 1899, p. 344). E pure il Ciampi ha fede nel ravvedimento di M.me Dalancour, mentre per Cecilia teme che l'umiliazione presente non sia mezzo per soddisfare a doppio nell’avvenire l’orgoglio celato (La commedia italiana, Roma, 1880, pag. 219). Ci corre anche un po’ dalla goldonianissima petulante Meneghina alla timida soave Angélique, per la quale l’amore è ben più che liberazione dalla prigione domestica e dalla convivenza con la cognata. L'estrema debolezza di Anzoletto non è scusata da vero affetto per la moglie, come accade in Dalancour (Guastalla, Antologia Goldoniana, 1908, p. 333), di che si muove appunto alla figura. Ma caratteri come il suo si contano a dozzine nel teatro del Nostro, e se il Goldoni; tanto vi insisteva, dovevano esser ben frequenti intorno a lui. Insomma dall’ambiente piccino di questa Casa nova, dominato da interesse, cattiveria e debolezza, si passa col Burbero in un’atmosfera di universale bontà.