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tivo della condotta di Dorval; teme imparentarsi con un uomo disordinato; egli è là probabilmente per esaminarlo più da vicino, per assicurarsi dello stato suo; ma perchè Dorval non me ne ha parlato? Dirà egli forse, che la mia vivacità non gli ha permesso di farlo? Egli ha torto, doveva attendere, doveva trattenersi. Il mio foco si sarebbe calmato. Nipote indegno! Traditore! perfido! Tu hai sagrifìcato il tuo patrimonio, il tuo onore; io ti amo, scellerato! Ti amo ancora, ma ti scancellerò dal mio cuore, dalla mia memoria..... Sorti di questa casa, va a perire altrove, (con meno calore, e quasi intenerito) Ma dove andrà egli? No, non mi preme Non ci penso più. Angelica è la sola che m’interessa, ella è la sola che m’interessa, ella è la sola che merita le mie cure, la mia tenerezza lascierò soffrire il colpevole, e non abbandonerò mai l’innocenza.

SCENA V.

Geronte, Leandro.

Leandro. (Gettandosi a’ piedi di Geronte) Ah! mio zio, degnatevi di ascoltarmi.

Geronte. (Agitato) Che cos’è? che vuoi tu da me? Alzati.

Leandro. (Alzandosi) Compassionate in me il più confuso, il più sfortunato degli uomini; voi che avete il cuore sì tenero e generoso, mi abbandonerete voi per un fallo, che non deriva che da un eccesso d’amore; ma da un amore onesto, legittimo, e perdonabile? Ho avuto torto senza dubbio nell’allontanarmi da’ vostri consigli, e trascurare la vostra tenerezza paterna; ma sovvenitevi di quel sangue che mi diede la vita, di quel sangue che è a noi comune, piegatevi in favore di un infelice.

Geronte. (S’intenerisce, e s’asciuga gli occhi.)

Leandro. Ciò che m’affligge non è la perdita dello stato mio, ma bensì un sentimento più degno di voi e di me, che è l’onore; soffrirete voi che vostro nipote abbia a arrossire?