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LA BURLA RETROCESSA 313

Placida. Orsù, io sono una donna sincera, e non voglio aver da rimproverarmi d’aver taciuto1. Mi fa specie il cambiamento ch’io vedo in voi di condotta, di genio, di inclinazione, e di temperamento. Una volta voi eravate allegro, gioviale, vi piaceva la compagnia, ed ora dico fra me stessa, è impossibile che Gottardo si sia cangiato tutto ad un tratto.

Gottardo. Sapete chi mi ha fatto cangiare?

Placida. Chi?

Gottardo. Voi.

Placida. Io?

Gottardo. Sì, voi. Ora ho preso moglie, vi voglio bene, non penso che a voi, non mi curo d’altri divertimenti, ed ecco la ragione del mio cangiamento.

Placida. Se la cosa fosse così, come dite...

Gottardo. Ella è così, ve lo giuro.

Placida. Eh caro Gottardo, una volta vi piaceva la compagnia delle gonnelle, e non vorrei che oggi fingeste meco di essere diventato un altro uomo, e poi andaste fuori di casa a divertirvi colle vostre sguaiatelle passate.

Gottardo. È possibile, che possiate pensare ad una simile bestialità?

Placida. Qual premura avete d’andar oggi dal signor compare?

Gottardo. Perchè gli ho dato parola.

Placida. E perchè dargli parola?

Gottardo. Perchè... mi ha tanto pregato.

Placida. Vi ha pregato! badate bene, che se me n’accorgo, se me n’accorgo, povero voi.

Gottardo. In verità. Placida, voi mi fate torto.

Placida. Orsù, non parliamo altro. Voi andate da vostro compare, ed io anderò da mia madre.

Gottardo. Benissimo. Aspettatemi lì, che verrò a prendervi avanti sera.

Placida. Non vi è bisogno che venghiate a prendermi. Non so venire a casa da me?

  1. Ed. Zatta: tacciuto.