Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1922, XXI.djvu/277


LE INQUIETUDINI DI ZELINDA 271

Zelinda. (Quest’è troppo; quest’è un rimprovero alla mia tristezza, è un manifesto disprezzo alla mia persona). (da sè, agitata)

Lindoro. Che avete che mi parete agitata?

Zelinda. Niente. Penso ch’è l’ora di andare dall’avvocato. Non voglio farmi aspettare. (dissimulando)

Tognina. Oh sì, quando preme non bisogna mancare.

Zelinda. (Ha premura ch’io me ne vada). (da sè, fremendo)

Fabrizio. La lasciate andar sola? (a Lindoro)

Lindoro. (Non vorrei che dicesse...) Se voleste voi accompagnarla... (a Fabrizio)

Zelinda. (Per restar solo colla cameriera). (da sè, fremendo)

Fabrizio. Ma perchè non andate voi? (a Lindoro)

Zelinda. Non ho bisogno di nessuno, non ho bisogno d’essere accompagnata. So dove sta l’avvocato. Vi so andare da me. Restate, concertate insieme la maniera di vivere uniti, e di vivere in allegria. (ironicamente) (Ah il caso è per me disperato. Mio marito è incantato. Mio marito è perduto... Sì, eseguirò quello ch’ho nell’animo mio meditato). (da sè, parte)

SCENA XI.

Tognina, Fabrizio e Lindoro.

Tognina. Non so. Quella donna mi par confusa. Non la capisco.

Fabrizio. In verità. Lindoro, avete fatto male a non andare con lei.

Lindoro. Ho sempre paura ch’ella supponga, ch’io non mi fidi di lei.

Tognina. Diamine. La credete di sì poco spirito?

Fabrizio. Fate a mio modo. Andate, raggiungetela, ed accompagnatela. Considerate ancora, che dall’avvocato avranno bisogno di voi. Se v’ha da essere un accomodamento, ci dovete intervenire anche voi.

Lindoro. È vero; sono sì confuso, che non so quello che mi faccia. Vado, cercherò di raggiungerla, e le dirò la ragione. (parte)

Fabrizio. Avrei anch’io un poco di curiosità.