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244 ATTO SECONDO


testimoni. Ho trovato delle buone ragioni; lasciate fare a me, lasciate operare a me, moveremo una lite terribile a don Flaminio, a Zelinda, a Lindoro, a tutto il mondo, e son sicuro della vittoria.

Eleonora. Ah, ah, ve lo diceva io, signor don Filiberto? coi vostri dubbi, colle vostre consultazioni. Queste un uomo, quest’è un legale che sa il suo mestiere.

Pandolfo. E puntuale, e onorato.

Filiberto. Io stimo il signor Pandolfo infinitamente. Io non intacco la sua puntualità e l’onor suo, ma circa all’affare che si tratta, dubito assai che s’inganni.

Pandolfo. Mi maraviglio di lei, signore. Son chi sono, e non mi posso ingannare. (a don Filiberto)

Eleonora. Lasciatelo dire, e non gli badate. Dite, signor Pandolfo, ci vorrà molta spesa per far questa lite?

Pandolfo. Se aveste a fare con altri che con me, forse, forse la spesa vi potria spaventare. Ma io, in primo luogo, non domando niente per me.

Eleonora. Sentite? (a don Filiberto)

Pandolfo. Secondariamente, io conosco il foro, e spendo la metà di quel che spendono gli altri; e per ultimo, la mia sollecitudine vale un tesoro.

Eleonora. Bravissimo. Quanto credete voi che si spenderà?

Pandolfo. Non lo posso dire precisamente.

Eleonora. Ma pure, presso a poco?1

Pandolfo. Che so io? cento scudi, cento cinquanta, a duecento spero non ci arriveremo, o li passeremo di poco.

Eleonora. Sentite, signor don Filiberto? Non è gran cosa.

Filiberto. Si principia con cento, e non si finisce con mille.

Pandolfo. Ma ella, signore, mi scusi...

Eleonora. È vero; è nato per far disperare.

Filiberto. Non parlo più.

Eleonora. Fareste meglio a sollecitar quest’affare. (a don Filiberto)

  1. Nell’ed. Zatta e in altre c’è il punto fermo.