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LA GELOSIA DI LINDORO 115

Lindoro. (Così parlava costui anche quando m’insidiava Zelinda.) (da sè)

Zelinda. (Son curiosa d’intendere che cosa ha da comunicarmi). (da sè)

Fabrizio. Ma via, Lindoro, spicciatevi. Sapete che il padrone è buono, ma l’aspettare l’inquieta.

Lindoro. Vi preme molto ch’io vada. Ci avete voi qualche parte in questa premura?

Fabrizio. Io non ho altra parte, che quella del desiderio che vi facciate sempre più ben volere.

Lindoro. (Se non lo conoscessi, forse, forse mi fiderei). (da sè)

Fabrizio. Via, vedo che la lettera è finita.

Lindoro. È finita. Ma il padrone mi ha ordinato di fare un conto, e vorrei portarglielo fatto.

Fabrizio. Che conto è? Andate, lo farò io, e ve lo porterò.

Lindoro. (Sempre più mi mette in sospetto). (da sè)

Zelinda. Ma via, caro Lindoro, andate. Se il padrone vi domanda, non è dovere che lo facciate aspettare.

Lindoro. Ma se deggio far questo conto... (con forza)

Zelinda. Ma se Fabrizio s’esibisce farlo per voi... (con vivacità)

Fabrizio. Sì, col maggior piacere del mondo. Date qui, ve lo porto immediatamente. (s'accosta al tavolino)

Lindoro. Dirà il padrone ch’io non sono capace...

Zelinda. Ma quante difficoltà inutili per non andare! Io non so.... In verità, Lindoro, voi mi fareste pensar delle cose... (con del calore)

Lindoro. Via via, non v’inquietate. Vi preme ch’io vada? anderò. (s’alza)

Zelinda. Mi preme che facciate il vostro debito.

Lindoro. Il mio debito? lo farò. (si stacca dal tavolino)

Fabrizio. Dov’è questo conto?

Lindoro. Eccolo qui.

Fabrizio. Volete ch’io lo faccia?

Lindoro. Tutto quel che vi piace. (Convien dissimulare fino ch’io giunga ad assicurarmi di qualche cosa). (da sè, parte)