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NOTA STORICA


Che la memoria sovvenisse non sempre fedelmente Goldoni quando in Tarda età scriveva a Parigi i propri ricordi, è risaputo. Così a suo dire, la prima recita dei Rusteghi risalirebbe all’autunno 1757 (Mem. II, XXXIV); mentre si può assegnarle con ogni sicurezza il carnevale 1760. Ce ne fa fede Gaspare Gozzi nel noto articolo inserito nel n. V della sua Gazzetta Veneta intitolato: La Compagnia dei Salvadeghi ossia i Rusteghi, commedia in prosa veneziana in tre atti del sig. Dottor Carlo Goldoni, che principia così: «Addì 16 di Febbraio si vide per la prima volta questa commedia sul teatro di S. Luca, e col ripeterne le rappresentazioni chiusero i comici di quella Compagnia il carnevale di quest’anno 1760»; data, annota giustamente Guido Mazzoni, che trovasi del resto anche nell’edizione Pasquali (Mem. di C. G., Firenze Barbera, 1907, vol. II p. 386).

Ma più importanti a segnalarsi sono la perfezione e l’originalità della commedia, della quale dissero un mondo di bene i critici più autorevoli che la presero ad esame. Né all’acuto giudizio del buon Gaspare dettato al primo udirla sentiamo poter rinunciare, come non rinunciarono Luigi Carrer (Not. sulla comm. ital. P. Ili, pag. 98 e segg.); più che 70 anni dopo, Ernesto Masi (nella Nota prelim. ai Rusteghi in Scelta di comm. di C. G., Firenze 1897); e finalmente Rosolino Guastalla nella sua Antologia goldoniana ad uso delle Scuole (Livorno Giusti, 1908, p. 146). Il Gozzi infatti ne rilevò con tocchi sicuri il valore, non già per la trama abbastanza tenue, quanto pei caratteri scolpiti da grande artefice; nè ci persuade punto il parere discorde del Masi stesso (op. cit.) e del Rabany (C. G. Le Théatre el la vie en Italie ecc. p. 126) che i rusteghi finiscano nello scioglimento collo smentire sè stessi, mentre, come pensava il Gozzi, è da presumersi che restino quelli di prima se anche in ultimo devono cedere unicamente e propriamente per necessità delle circostanze. «Notabile e soprattutto ne’ Rustici», scriveva dunque il bravo Gaspare nella citata Gazzetta Ven., «una cosa che a me par nuova e potrebbe forse stabilire una nuova regola nell’arte comica. Tutti quei poeti che hanno fino a qui imitato un carattere, ne vestirono un solo personaggio. Euclione in Plauto ed Arpagone nel Molière sono i soli avari nell’Aulularia e nella commedia francese. Da ciò nasce spesso cosa non conveniente; e ciò è che volendo il poeta in tal caso far vedere più faccie e diversi aspetti del carattere imitato, dee quasi di necessità tirare qualche scena co’ denti, per mettere il suo personaggio in una novella situazione e toccar, per così dire, del suo carattere le vane corde. Nella presente commedia quattro sono caratterizzati Rustici, onde le situazioni nascono e germogliano da sè facilmente; ed un medesimo carattere, compartito in quattro uomini, ha quattro gradi e quattro aspetti diversi che non violentati si affacciano agli uditori con varietà più grata. Quattro donne vi hanno parte: tre mogli e una figliuola da marito, tutte in soggezione; ma con diverse maniere. Una sola di esse si rende il giogo leg-