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IL RITORNO DALLA VILLEGGIATURA 285


pizio, non fate che termini la mia casa con una tragedia, con uno spettacolo della mia persona.

Fulgenzio. Se foste mio figliuolo, vorrei rompervi l’ossa di bastonate. Ecco il linguaggio de’ vostri pari: son disperato, voglio strozzarmi, voglio affogarmi. A me poco dovrebbe premere, perchè non ho verun interesse con voi. Ma son uomo, sento l’umanità, ho compassione di tutti; meritate di essere abbandonato, ma non ho cuore di abbandonarvi.

Leonardo. Ah! il cielo vi benedica. Salvate un uomo, salvate una desolata famiglia. Liberatemi dal rossore, dalla miseria, dalla folla de’ creditori.

Fulgenzio. Ma che credete? Ch’io voglia rovinar me per aiutar voi? Ch’io voglia pagarvi i debiti, perchè ne facciate degli altri?

Leonardo. No, signor Fulgenzio, non ne farò più.

Fulgenzio. Io non vi credo un zero.

Leonardo. In che consistono dunque le esibizioni che finora mi avete fatte?

Fulgenzio. Consistono in volermi adoperare per voi con dei buoni uffizi verso di vostro zio Bernardino, con delle buone parti verso chi ha più il modo di me, e qualche maggior obbligazione di soccorrervi nelle vostre disgrazie. E se impiego per voi il tempo, i passi, e le parole, e i consigli, faccio più ancora di quello che mi s’aspetta.

Leonardo. Signore, io sono nelle vostre mani; ma con mio zio Bernardino non si farà niente.

Fulgenzio. E perchè non si farà niente?

Leonardo. Perchè è sordido, avaro, e non darebbe un quattrino, chi l’appiccasse1; e poi ha una maniera così insultante, che non si può tollerare.

Fulgenzio. Sia come esser si voglia, si ha da far questo passo, si ha da principiare da qui per andare innanzi. Se non v’aiuta lo zio, chi volete voi che lo faccia?

  1. Ed. Zatta: a chi l’appiccasse.