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LA GUERRA 385


vivandiera. Sono rimasta vedova, voi mi avete assistito, e col mio ingegno e colla vostra assistenza spero, tornando a casa, di poter vivere da signora.

Polidoro. Benissimo.

Orsolina. Volete incontrare il danaro che vi ho portato?

Polidoro. No, gioia mia, tenetelo, custoditelo, aumentatelo. Volete dell’altro vino? ve ne darò. Volete dell’altra roba? vi provvedere. Guadagnate; fatevi ricca. Mi piacete; vi voglio bene; amo le persone di spirito; stimo chi sa far il molto col poco. Ho fatto così ancor io, e terminata la guerra, se mi risolvo di prender moglie.... Basta, credetemi che vi voglio bene.

Orsolina. Oh signore, vorreste che una povera lavandaia si lusingasse di divenir commissaria?

Polidoro. Che lavandaia! Siete ora una mercantessa. I denari fanno dimenticare il passato. Sentite, in confidenza, chi credete che fossi io, prima di essere commissario? Ve lo dirò fra voi e me in segretezza per animarvi a sperare, per levarvi ogni scrupolo della vostra condizione passata. Io era un povero tamburino. Sono passato a far il garzone di un vivandiere; mi avanzai dieci scudi, ho comprato un asino, ed ho trafficato all’armata. Ho fatto dopo il condottiere di muli, poi son passato a magazzeniere1 de’ grani. Mi sono poscia interessato nei forni. Di là sbalzai ad essere provvisioniere. Andò bene il guadagno, mi regolai con prudenza, mi feci benvolere dai generali; ho saputo spendere con giudizio, ho regalato a tempo, e sono finalmente arrivato al grado di commissario di guerra. Ah! cosa dite?

Orsolina. Dirò come dite voi. Benissimo.

Polidoro. Il più bel matrimonio di questo mondo è quando si marita col danaro il danaro.

Orsolina. Ma io non posso avere ricchezze.

Polidoro. Se non ne avete, ne potete fare. Stimo più una donna che in un giorno sappia guadagnare un paolo, di una che abbia

  1. Così il testo.