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384 ATTO PRIMO


danaro, il venti o il trenta per cento. Piangono per la guerra quelle famiglie che perdono per disgrazia il padre, il figlio, il parente; non quelle che se li vedono tornare a casa ricchi di gloria, e carichi di bottino. Si lamentano della guerra talvolta i soldati, e gli uffiziali ancora, mancando loro il bisogno; non si lamenta già un commissario, come son io, che nuota nell’abbondanza, che lucra sulle vendite e nelle provviste, e che col crogiuolo della sua testa fa che coli nelle sue tasche l’oro e l’argento di tutta quanta un’armata.

SCENA VI.

Orsolina e detto.

Orsolina. Serva, signor commissario.

Polidoro. Oh garbata Orsolina, che fate qui a quest’ora?

Orsolina. Vengo a rendervi conto del guadagno di questa notte.

Polidoro. Benissimo.

Orsolina. Ecco la lista di quello che si è venduto. Sessanta fiaschi di vino di Chianti; trenta bottiglie di Borgogna; sedici boccie di rosolino, ventidue libbre di acquavita gagliarda, quaranta libbre di tabacco da fumo, ed una cassa di pippe.

Polidoro. Benissimo.

Orsolina. Vi ho portato i danari del capitale che voi mi avete per grazia vostra prestato, e circa al guadagno, alla vostra cortesia mi rimetto.

Polidoro. Quanto ci avete voi guadagnato?

Orsolina. Son donna leale, e sono pronta a dirvi la verità. Sul vino ci ho guadagnato il doppio. Sui rosolini il terzo, e sulle altre cose due terzi.

Polidoro. Benissimo. Siete voi di quelle che dicono mal della guerra?

Orsolina. Per me ne dico tutti i beni del mondo. Io era una povera lavandaia. Son venuta al campo con mio marito per