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Lucrezia. (Or or mi fa venire il moscherin davvero).

Nibbio. Vado a veder sel trovo, e di condurlo io spero.
Lucrezia. Se voi lo condurrete, sarà bene accettato,
Ma spiacemi d’avere il cembalo scordato.
Mi mandi un cembalaro il signor protettore.
Conte. Sì, ad accordare il cembalo manderà il direttore.
Io non ne sono pratico. Egli di ciò s’intende.
Servitela madama. (a Nibbio)
Lucrezia.   E in ciò quanto si spende? (al Conte)
Conte. Io non lo so, signora. Nibbio sarà informato,
E non vi farà spendere di più del praticato.
Lucrezia. (Spilorcio cacastecchi).
Nibbio.   È cosa da niente,
La farò da un amico servire immantinente.
L’affar di cui si tratta, sollecitar vorrei.
Perchè s’egli ci pensa, s’egli ci dorme su,
Dubito che si penta, e non ne voglia più.
Un negozio migliore non ebbi a tempo mio.
Per direttore d’opera spero imbarcarmi anch’io.
Se le cose van bene, fra incerti e l’onorario
Torno ricco in Italia, e faccio l’impresario.
Chi del teatro il gusto un qualche dì ha provato,
Non sa da lui staccarsi finchè ha denari e fiato.
Ed io se al fin dei conti burlato resterò,
Con niente ho principiato, con niente resterò. (parte)
Conte. Signora, mi consolo d’avervi procacciata
Così buona occasione.
Lucrezia.   Sì, gli sono obbligata1;
Ma non so ben, se tutto venga il favor da lei.
Conte. Perir voi non potete sotto gli auspici miei.
Voglio trovare il Turco, voglio saper cos’è.
Farò il vostro negozio. Fidatevi di me.
Lucrezia. Son certa, mio signore, della sua gran bontà:
Mi ha in tutto favorita senza difficoltà.

  1. Così l’ed. Antonelli. Nell’ed. Savioli leggesi; Sì, gli son ben obbligata.