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Conte. Amico, vi assicuro, questa è una virtuosa.

Che ha un merito infinito e voce portentosa.
Sotto i miglior maestri la musica ha imparata,
E quel ch’è da stimarsi, non è mai raffreddata.
Nibbio. Quest’è un buon capitale.
Lucrezia.   La voce mia è di petto.
Conte. È un campanel d’argento, senza verun difetto.
Nibbio. Quand’ella l’ha sentita, di ciò son sicurissimo.
Conte. Canta, ve l’assicuro, d’un gusto esquisitissimo.
Lucrezia. (Mi loda o mi corbella?)
Conte.   Eh, non è già di quelle
Che cercano agli amici di scorticar la pelle.
Le esibii il parrucchiere per farle una finezza,
Ella lo ha ricusato per sua delicatezza.
Lucrezia. (Ti venga la rovella, chiacchieron1 maledetto).
Nibbio. Si farà in questo modo un ottimo concetto.
(al Conte)
Conte. Che sì, che messer Nibbio venuto è a ritrovarla,
Perchè gli è capitata occasion d’impiegarla?
Nibbio. Può darsi.
Lucrezia.   Se una recita mi offrisse decorosa,
Non sarei sconoscente.
Conte.   So io che è generosa.
Nibbio. Per dir la verità, ieri mi è capitato
Incontro che può dirsi stupendo e fortunato.
Non voglio che si penetri. Di tutti io non mi fido.
A lei e a questa giovane soltanto lo confido.
Ma silenzio.
Conte.   Non parlo.
Lucrezia.   Segreta esser mi vanto.
Conte. Credetelo, signore, è una donna d’incanto.
Ditemi in confidenza quel che dir volevate;
Ditelo prestamente.

  1. Nel testo: chiachiaron.