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Intesi una commedia fatta da certo autore,

Che a forza di riboboli credea di farsi onore;
Ma in questo, mi perdoni, ebbe poco giudizio;
La macchina ingegnosa è andata a precipizio.1
Si scusò poi dicendo, che a ciò fu stimulato
Da quei che lo suo stile avevan criticato,
E che intendea con questo illuminar gli stessi
Che s’ei non fu capito, perdono il tempo anch’essi;
Ma in avvenire usando versi rimati o sciolti,
Senza badare ai pochi, vuol compiacere ai molti.
Lucrezia. Con questa cantifera voi mi avete seccato.
Da queste stanze buie vo’ partir diviato.
Son venuta a Venezia per far la mia figura,
Non per infradiciarmi in mezzo a quattro mura.
Se affacciomi al balcone, acqua vegg’io soltanto.
Chi ha a saper ch’io ci sono, chi ha da sentir s’io canto,
Sopra di qualche piazza, o sulla via maestra,
Io voglio una ringhiera, o almeno una finestra.
Cavolo. Non dubiti, che senza l’aiuto del balcone,
Potrà, quando ne voglia, aver conversazione.
Con certo signor Conte ho già di lei parlato,
Che per le virtuose moltissimo è portato.
Parlai con certo Nibbio, ch’è un direttor valente
D’opere musicali, che impiega molta gente.
Se brama divertirsi, aver può compagnia;
Non dubiti in Venezia trovar melanconia:
Andar può mascherata, se in casa ella si attedia,
In piazza ad un caffè, la sera alla commedia.
Vedrà vari teatri forniti a sufficienza,
Che a forza di fatiche si rubbano l’udienza.
Le novità fioriscono in questo ed in quel loco;
Ma la torta è divisa, e per ciascuno è poco.
Han battuto, mi pare.

  1. Allude l’autore alla Scuola di ballo