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20 ATTO PRIMO

Flamminia. Ho per lui quella carità ch’egli merita, e che voi dovreste usargli per giustizia e per gratitudine. È un uomo civile, è un uomo ricco, è di buonissimo core. Considerate che voi avete pochissima dote; che nostro zio a forza di spendere in corbellerie ha precipitata la casa; che io mi son maritata come il cielo ha voluto, e ho penato tre anni in povertà col marito, e quand’è morto, ho avuto scarsa occasione di piangere. Così, e peggio, potrebbe accadere di voi, che non siete in migliore stato del mio. Il signor Fulgenzio, che vi ama tanto, e che ha detto di volervi sposare, è l’unico forse che possa fare la vostra fortuna. Ma voi, sorella cara, lo perderete; lo perderete senz’altro; e ci scommetto che ieri sera si è più del solito disgustato, e starete un pezzo a vederlo.

Eugenia. Ed io scommetto che non passano due ore, che Fulgenzio è qui, e mi prega; e se voglio, mi domanda ancora perdono.

Flamminia. Voi l’avete ingiuriato, ed egli vi chiederà il perdono?

Eugenia. Eh! non sarebbe la prima volta.

Flamminia. Vi fidate troppo della sua bontà.

Eugenia. E anch’egli si può compromettere dell’amor mio.

Flamminia. L’amate dunque, e lo trattate sì male?

Eugenia. E che cosa finalmente gli ho fatto?

Flamminia. Niente! In tutto il tempo che viene qui, è mai passato un giorno o una sera senza che voi lo abbiate fatto inquietare?

Eugenia. Sono sempre io quella che lo fa inquietare? Parmi ch’egli sia sofistico e puntiglioso assai più di me.

Flamminia. Non è vero.

Eugenia. Oh, voi sapete assai quello che vi dite.

Flamminia. Specialmente poi lo tormentate sempre sul proposito di sua cognata.

Eugenia. Sua cognata io non la posso vedere.

Flamminia. E che cosa vi ha fatto quella povera donna?

Eugenia. Non mi ha fatto niente, ma non la posso vedere.

Flamminia. Quest’odio è cattivo, sorella cara. Il cielo vi castigherà.