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L'IMPRESARIO DELLE SMIRNE 251

Lasca. Tutto ciò, credetemi, è superfluo.

Lucrezia. Eh, non importa! Farò preparar io.

Lasca. Se ciò si dovesse fare, toccherebbe a me a farlo.

Lucrezia. Fatelo, se volete, io non mi oppongo.

Lasca. Lo farei, se fosse necessario; ma non vengono qui da voi per far la conversazione; vengono per affari, e sarebbe un’affettazione... Oh, ecco la signora Tognina. Fatele buona ciera. Questo val meglio di tutti i rinfreschi del mondo.

SCENA II.

Tognina e detti.

Tognina. Padrona mia riverita.

Lucrezia. Serva sua divotissima.

Tognina. Sta bene?

Lucrezia. Per obbedirla.

Lasca. Brave, signore mie, avrò piacere che siate buone amiche e buone compagne.

Tognina. Sarebbe per me una fortuna, s’io avessi il bell’onore di essere in compagnia di questa signora, che è tanto buona e di buon cuore. (con ironia)

Lucrezia. Anzi potrei chiamarmi io fortunata di vivere con una persona sì amabile e sì gentile. (con ironia)

Tognina. Questo è un effetto della di lei bontà, che accresce il merito alla sua virtù.

Lucrezia. S’inganna, signora mia, io non merito niente.

Tognina. Ma che maniera che incanta!

Lucrezia. Quanto mi piace questa signora. (forte al Conte)

Lasca. (Queste troppe finezze son certo che non vengon dal cuore).

Lucrezia. Se anderemo alle Smirne, ce la goderemo, saremo amiche, e vivremo insieme.

Tognina. E in nave? Nella nave voglio che passiamo bene il nostro tempo; porterò la mia spinetta, le passerò io la parte. Compagno qualche cosetta. E ella?