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142 ATTO SECONDO

Jevre. Poverina! vi ricordate, quando il padrone vi voleva serrar in camera? Quando vi donò quell’anello?1 Allora vi faceva paura il suo amore, ora vi fa paura il suo sdegno: ma quanto allora vi fu utile la modestia, ora è necessario l’ardire. Non abbiate timore. Dite le vostre ragioni, dove si aspetta. Scommetto l’osso del collo, che se andate voi a trattare la vostra causa in un tribunal di giustizia, portare via la vittoria, ed è condannato il giudice nelle spese. (parte)

SCENA IX.

Pamela, poi Miledi Daure.

Pamela. Jevre procura invano di sollevarmi. Sono troppo oppressa dal mio dolore.

Miledi. Gran cose ho di voi sentite, signora.

Pamela. Deh, cognata mia dilettissima...

Miledi. Sospendete di darmi un titolo, che da voi non mi degno ricevere. L’avrei sofferto più volentieri da Pamela rustica, di quel ch’io lo soffra da Pamela impudica2. La sorte vi aveva giustamente trattata colla condizione servile, e non vi fe’ ascendere al grado di nobiltà, che per maggiormente punire la vostra simulazione.

Pamela. Miledi, il vostro ragionamento non procede da una misurata giustizia, ma da quel mal animo che avete contro di me concepito. Perchè mi trovaste restia a condescendere ai vostri voleri, mi giuraste odio e vendetta; e quell’abbraccio che mi donaste nel cambiamento di mia fortuna, fu uno sforzo di politica interessata. Celaste il vostro sdegno, fin che non vi è riuscito manifestarlo; ora, per soddisfare al mal animo, vi prevalete delle mie disgrazie, e voi forse, unita all’imprudente nipote, corrompeste l’animo del mio sposo, e macchinaste la mia rovina. Con tutto ciò, non crediate ch’io vi odi,

  1. L’ed. cit. dice più brevemente: Ricordate quando il padrone vi donò quell’anello?
  2. Ed. cit.: da Pamela infedele.