Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1912, XV.djvu/70

62 ATTO TERZO
Placida. Avvi la provvidenza di si gran ben colmata,

Che al ciel, se vi dolete, voi comparite ingrata.
Chi mai sperar poteva, che l’amoroso inganno
Scoperto a noi non fosse di vergognoso affanno?
Vissi finora in pena; il mio rimorso atroce
Franca non mi lasciava articolar la voce.
Quando stringeavi al seno il principe Fernando,
Godea del vostro bene, ma ne godea tremando.
Voi figurando in mente di sua ricchezza erede,
Pareami una rapina l’indebita mercede.
Mille volte fui spinta dai stimoli d’onore
A discoprir l’arcano; ma mi trattenne amore.
Ora di quest’amore, ch’esser dovea punito,
Ecco la colpa assolta, ecco il timor finito.
Di due tenere madri fu compatito il zelo;
Figlia, gradite il dono, e benedite il cielo.
Ah sì, perchè compita alfin sia nostra sorte,
Il ciel dopo tant’anni mi rende il mio consorte.
Mandai più d’un amico a ricercarlo intorno;
Spero di rivederlo pria che tramonti il giorno.
Oimè, l’amor di madre, di rintracciarlo invece,
Di lui, per cagion vostra, quasi scordar mi fece.
Finor nel cuore afflitta, a giubilar non usa,
Son per doppia cagione dal mio piacer confusa.
Voi vi dolete ancora? Deh, non mi fate un torto:
Sereno il vostro ciglio accresca il mio conforto.
Sperate; il vostro cuore sarà contento appieno.
Il più chi ha superato, può superare il meno.
Sì, sarà vostro il Duca.
Isabella.   Oh Dio! mi consolate.
(abbracciando donna Placida)
Placida. Figlia, diletta figlia, solo nel ciel sperate.
(abbracciando donna Isabella, e partono)

Fine dell’Atto Terzo.