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232 ATTO TERZO
Fino che si sta a tavola, (no per mangiar, no certo)

Ma per conversazione, col deser mi diverto.
Fabrizio. Come gli piace il bere?
Conte.   Sono assai regolato.
Non mi ricordo mai, che il vin mi abbia alterato.
Pria di far fondamento, non vengo alle bevande.
Uso poi, quando ho sete, di ber col bicchier grande.
Ber tanti bicchierini sembrami cosa stolta;
Quel che altri fanno in molte, io faccio in una volta.
Mi piaccion le bottiglie di vino oltramontano,
Ma piacemi egualmente di bevere il nostrano.
E tanto più mi alletta, quanto più è saporito,
Ma quando poi son sazio, di bevere ho finito.
Fabrizio. Ella, per quel ch’io sento, è regolato assai.
Conte. Oh, più del mio bisogno non mi carico mai.
Fabrizio. Spiacemi che stamane andrà mal la faccenda:
Siam molti, e il pranzo è scarso.
Conte.   Si supplirà a merenda.
Fabrizio. Mangia più volte al giorno?
Conte.   Io poi non guardo all’uso.
Sia qual ora si voglia, son pronto, e non ricuso.
Fabrizio. E viva il signor Conte.
Conte.   Fate un piacere, andate
Ad affrettare il cuoco, e in tavola portate.
Fabrizio. Subito, vo a servirla. (Sta fresco il mio padrone;
Questi è un lupo, che mangia per dodici persone).
(parte)

SCENA III.

Il Conte, poi Giacinto.

Conte. A casa mia a quest’ora avrei di già pranzato.

Mi sento dalla fame assai debilitato.
Già che nessun mi vede, posso pigliarmi un pane.
(si accosta alla tavola)
Giacinto. (Soffrir non sono avvezzo simili azion villane).