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406 ATTO QUARTO
E se farete mai qualche secreto accordo,

Sappiate ch’io son muto, sappiate ch’io son sordo.
All’opera con voi venire io vi prometto,
E sola, se bisogna, lasciarvi nel palchetto.
E se trattar doveste qualche segreto affare,
Starò, fin che volete, di fuori a passeggiare.
Non sdegnerò, signora, se voi lo comandate,
Recapitar viglietti, portar delle imbasciate.
Saprò nelle occorrenze servir da secretario,
Sarò con voi di tutto fedel referendario.
Portarvi la mattina saprò le novità
Di quello che succede per tutta la città.
Vedrò nella famiglia se nascon degli errori.
Vi saprò dir la vita de’ vostri servitori.
Del zio, della germana, di quei che vi frequentano,
Tutto vi saprò dire allor che non mi sentano.
Di me dispor potete, potete comandare,
Neè vi darò altro incomodo che a cena e a desinare.
Placida. Bravo, don Isidoro. Tai sono i galoppini,
Che diconsi alla moda serventi comodini.
Vi offendete di questo?
Isidoro.   Oibò, liberamente
Dite quel che volete, che non me n’ho a mal niente.
Se mai andaste in collera, quando quel tal non vi è,
Che il dispiacer vi ha dato, sfogatevi con me.
E siete anche padrona di strapazzarmi un poco,
D’esser fastidiosa quando perdete al gioco.
Posso esibir di più? sarò schiavo in catena,
Nè chiedo in ricompensa che un pranzo ed una cena.
Placida. Dirò, signor servente, di voi son persuasa:
Ma credo di restare per poco in questa casa.
E quando vi restassi, sapete chi è il padrone.
Io comandar non posso. Don Berto è che dispone.
Isidoro. Don Berto, per parlarvi con tutta confidenza,
È un uomo che non ha nè spirito, nè scienza.