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278 ATTO PRIMO
Conte. Dunque avete marito.

Florida.   L’ebbi, ma è trapassato.
Conte. Siete vedova.
Florida.   A un altro ho l’amor mio impegnato.
Conte. Altro che solitudine è quel che vi diletta!
Vi spiace, a quel ch’io sento, di vivere soletta.
Se il primo laccio infranto, cercaste anche il secondo,
È segno che vi piace il vivere del mondo.
Florida. Eppure avea fissato non mi legar mai più.
Conte. Eh, chi è amico d’amore, amico è di virtù.
Questa passion, per cui opera il mondo e dura,
Insita è nei viventi, effetto è di natura.
Aman gli augelli e i pesci, aman le belve anch’esse,
Son per amor feconde fino le piante istesse.
E noi, che d’alta mano siam l’opera migliore,
Ricuserem gl’impulsi seguir d’onesto amore?
No, no, non vi pentite d’aver due volte amato;
Se mancavi il secondo, il terzo è preparato.
È pur la bella cosa goder sino alla morte
La dolce compagnia d’amabile consorte!
Florida. Ma voi da tal fortuna vivete ancor lontano.
Conte. È ver, cercai finora d’accompagnarmi invano.
Colpa del mio difficile strano temperamento,
Che dubita del laccio non essere contento.
Non ho trovato ancora donna di genio mio;
Subito ch’io la trovo, entro nel ruolo anch’io.
Florida. Che mai richiedereste per essere felice?
Conte. Non più di quel che giova, non più di quel che lice.
Una di cuor sincero, d’amor tenero e puro,
Di cui senza pensieri potessi andar sicuro:
Che mi lasciasse in pace, amando star soletto,
Che meco alle ore debite gioisse in dolce aspetto:
Capace la famiglia a reggere da sè,
Ma che sapesse insieme dipendere da me:
Che unisse alla modestia la placida allegria,