Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XIII.djvu/78

72 ATTO TERZO


Zerbino. Il mestier di mio padre.

Riminaldo. Che vuol dire?

Zerbino. Niente affatto.

Eustachio. E chi manteneva la casa?

Zerbino. Mia madre.

Eustachio. Che mestiere faceva?

Zerbino. Niente affatto.

Eustachio. Figliuolo mio, siete la bella birba.

Zerbino. Obbligatissimo alle grazie sue.

Riminaldo. Crescete così, che sarete un bel capo d’opera.

Zerbino. Mi fanno questa grazia di parlare per me? Anch’io, se occorrerà, parlerò per loro.

Eustachio. A chi?

Zerbino. Alla Libera e alla Menichina.

Eustachio. Mi fa ridere costui. Don Riminaldo, vediamo di fargli questo servizio.

Riminaldo. Fate voi, che farò ancor io quel che posso.

Eustachio. Via dunque, parleremo a donna Lavinia. Spero che vi tenà a riguardo nostro; ma siate buono, se volete che la vi tenga.

Zerbino. Che sia buono! se sono la stessa bontà. Fatemi questa grazia, signori, e se ora non potrò far niente per loro, può essere che un giorno sposi la Menichina, e farò ch’ella faccia le parti mie. Servitor umilissimo di lor signori. (parte)

SCENA III.

Don Riminaldo e don Eustachio.

Eustachio. Crediamo noi che parli con malizia, o con innocenza?

Riminaldo. Io credo che colui abbia più malizia di noi.

Eustachio. Per altro è un ragazzo che serve i forestieri con attenzione. Per solito la servitù suol fare delle male grazie agli ospiti, quando non regalano bene. Zerbino si contenta di poco: onde vo’ parlare per lui; e siccome il mancamento è leggiero, voglio credere che donna Lavinia mi farà il piacere di tenerlo.