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L'AVARO 419


Ambrogio. Non siete pupillo, la legge vi mette in grado di contrattare. Avreste difficoltà di fare a me una rinunzia della sua dote?

Fernando. Sono prontissimo.

Ambrogio. Ed obbligarvi verso di lei, s’ella un giorno la pretendesse?

Fernando. Sì, volentieri, con qualunque titolo: di donazione propter nuptias, di sopraddote, di contraddote, come vi aggrada.

Ambrogio. Subito, immantinente. Vado a trovar il procuratore, che è notaio ancora. Voi intanto presentatevi a donna Eugenia; ditele qualche cosa.

Fernando. Non avrò coraggio, signore.

Ambrogio. Un giovine di vent’anni non saprà dir due parole ad una donna? Fatevi animo, se volete che si concluda. Principiate voi a disporla colle buone grazie. Verrò io in aiuto.

Fernando. So ch’ella è pretesa da qualcun altro.

Ambrogio. Non temete nessuno. I due che la pretendono, son due spilorci. Voi siete il più generoso e il più meritevole. Ha da esser vostra, se casca il mondo. Via, non perdete tempo.

Fernando. Vado subito. Sento l’usato timore; ma voi mi fate coraggio. (parte)

SCENA XI.

Don Ambrogio, poi donna Eugenia.

Ambrogio. Finalmente l’ho poi trovato il galantuomo. Oh, non me lo lascio scappare. Quando è fatta, è fatta. Suo padre ci dovrà stare per forza... Oh, ecco donna Eugenia. Egli la cerca per di là, ed ella vien per di qua.

Eugenia. Signor suocero, vi riverisco.

Ambrogio. Servo, signora sposa.

Eugenia. Io sposa?

Ambrogio. Sì, consolatevi; spero che ne sarete contenta.

Eugenia. E chi pensate voi che debba essere il mio sposo?