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L'AVARO 399


Ambrogio. Lo so che siete nobile al paro d’ogni altro, ma ehi! la nobiltà senza i quattrini non è il vestito senza la fodera, ma la fodera senza il vestito.

Fernando. Non credo essere dei più sprovveduti.

Ambrogio. Oh bene, dunque andate a godere della vostra nobiltà, delle vostre ricchezze. Voi non istate bene nella casa di un poveruomo.

Fernando. Signor don Ambrogio, voi mi fareste ridere.

Ambrogio. Se sapeste le mie miserie, vi verrebbe da piangere. Non ho tanto che mi basti per vivere, e quel capo sventato della mia illustrissima signora nuora vuole la conversazione, la carrozza, gli staffieri, la cioccolata, il caffè... Oh povero me! sono disperato.

Fernando. Non è necessario che la tenghiate in casa con voi.

Ambrogio. Non ha nè padre, ne madre, nè parenti prossimi. Volete voi ch’io la lasci sola? In quell’età una vedova sola? Oh! non mi fate dire.

Fernando. Procurate ch’ella si rimariti.

Ambrogio. Se capitasse una buona occasione.

Fernando. La cosa non mi par difficile. Donna Eugenia ha del merito, e poi ha una ricca dote...

Ambrogio. Che dote? che andate voi dicendo di ricca dote? Ha portato in casa pochissimo, e intorno di lei abbiamo speso un tesoro. Ecco qui la nota delle spese che si son fatte per l’illustrissima signora sposa, eccole qui; le tengo sempre di giorno in tasca, e la notte sotto il guanciale. Tutte le disgrazie che mi succedono, mi paiono meno pesanti di queste polizze. Maladetti pizzi! maladettissime stoffe! oh moda, moda, che tu sia maladetta! Ci giuoco io, che se ora si rimarita, queste corbellerie, in conto di restituzione, non me le valutano la metà.

Fernando. Dite nemmeno il terzo.

Ambrogio. Obbligato al signor Dottore. (mostra di voler partire, poi torna indietro) Mi scordava di dirvi una cosa.

Fernando. Mi comandi.